\paperw9000 \margr0\margl0 \plain \fs20 \f1 \fs24 Il ruolo crescente nei principali paesi industrializzati del capitale finanziario, con le sue tendenze allÆesportazione di capit
ali e allÆespansionismo territoriale in un clima di accentuata concorrenza internazionale, signific≥ per lÆEuropa la fine del periodo di pace iniziato nel 1871, lÆerompere dei conflitti interimperialistici e la formazione di blocchi contrapposti in lotta
per il predominio mondiale. La politica estera italiana nei primi anni del secolo era stata dominata dallÆinteresse per lÆAfrica nord-orientale e quindi da una intensa azione diplomatica volta a ottenere, avendo giα il via libera dagli alleati, il ricon
oscimento della propria influenza sulla regione in primo luogo dalla Francia, che vantava diritti sullÆAfrica settentrionale, quindi dalla Gran Bretagna. LÆaccordo raggiunto con la Francia, firmato il 30 giugno 1902, subito dopo il rinnovo della Triplice
Alleanza (28 giugno), collocava lÆItalia in una posizione di fatto assai vicina allÆIntesa, come ebbe a osservare il cancelliere tedesco von Bⁿlow che parl≥ in proposito di ôgiro di valzerö con ôun altro ballerinoö. Tale posizione venne rafforzata da un
accordo, firmato in occasione della visita dello zar Nicola II in Italia (1909), col quale la Russia appoggiava le mire italiane in Africa, ottenendo in cambio lÆappoggio alle sue mire sugli Stretti; e lÆuno e lÆaltro paese si accordavano per bloccare o
gni tentativo di espansione dellÆAustria nei Balcani. E ci≥ nonostante lÆItalia avesse sottoscritto pochi giorni prima un altro accordo proprio con lÆAustria, in base al quale non solo si prevedevano compensi per la prima nel caso la seconda si fosse est
esa verso i Balcani, ma le due potenze si impegnavano reciprocamente a non trattare con terzi questioni riguardanti questa regione.\par
La guerra italo-turca, conclusasi con la cessione di fatto della Tripolitania allÆItalia, ebbe effetti immediati nell
a penisola balcanica. Greci, Serbi, Bulgari e Montenegrini approfittando del malcontento delle minoranze nazionali oppresse attaccarono la Turchia che, sconfitta, dovette accettare con la pace di Londra (30 maggio 1913) la spartizione della Macedonia, ce
dendo altres∞ la Tracia con lÆaccesso al Mar Egeo alla Bulgaria e Creta alla Grecia.\par
Una seconda guerra balcanica, scoppiata subito dopo in seguito al mancato accordo fra Serbia e Bulgaria sulla spartizione della Macedonia, si concluse con la vittor
ia della prima, con la quale si erano schierate anche la Romania, la Grecia e la Turchia. Il bilancio delle guerre balcaniche era tale da alterare i rapporti di forza tra le grandi potenze nella regione.\par
LÆIntesa anglo-franco-russa usciva rafforzata
dalla crisi mentre si indeboliva la Triplice Alleanza non solo per la vittoria della Serbia, saldamente legata alla Francia, ma anche per i contrasti al suo interno tra Italia e Austria, divise dalla questione delle terre ôirredenteö e, pi∙ in generale,
dai divergenti interessi nei Balcani. Da tutto questo lÆAustria trasse la conclusione che fosse giunto il momento di eliminare una volta per tutte lÆostacolo principale alla sua egemonia nei Balcani, vale a dire la Serbia. LÆassassinio dellÆarciduca Fra
ncesco Ferdinando, erede al trono imperiale e capo dellÆala militarista, e di sua moglie avvenuto a Sarajevo forn∞ lÆoccasione. Tra la fine di luglio e i primi di agosto le grandi potenze entrarono in guerra.\par
LÆItalia, adducendo a motivo il caratter
e difensivo e non offensivo della Triplice Alleanza e la mancata osservanza da parte dellÆAustria dellÆimpegno a una consultazione preliminare con gli alleati in caso di guerra, il 3 agosto dichiar≥ la propria neutralitα, rispecchiando lÆorientamento del
la grande maggioranza sia del parlamento sia del paese.\par
Contrari allÆintervento erano i liberali giolittiani, consapevoli della inadeguatezza militare, e gran parte del mondo industriale; i socialisti, in osservanza ai principi dellÆinternazionalism
o proletario; i cattolici, i quali esprimevano i sentimenti pacifisti delle masse, specie contadine, e i timori del Vaticano che lÆItalia potesse scendere in guerra a fianco dellÆIntesa contro lÆAustria cattolica.\par
A favore stava una minoranza assai
composita, divisa tra gli ôinterventisti democraticiö (che vedevano nella guerra allÆAustria lÆoccasione per la liberazione dei popoli da questa oppressi), una parte dei sindacalisti rivoluzionari (che speravano che la guerra avrebbe fatto da battistrada
alla rivoluzione sociale), i nazionalisti interventisti di destra, notoriamente sostenuti da alcuni settori dellÆindustria pesante (secondo i quali la neutralitα avrebbe condannato lÆItalia a una posizione di secondo rango e frustrato le sue ambizioni e
spansionistiche). A favore era anche la monarchia. Dal connubio fra liberali antigiolittiani, interventisti di destra e sinistra e monarchia usc∞ la forza che fin∞ per trascinare lÆItalia in guerra. Il blocco interventista compens≥ la sua inferioritα num
erica con lÆinfluenza che fu in grado di esercitare sullo stato, attraverso il governo e la monarchia, e nelle piazze, grazie alla capacitα di mobilitazione del movimento nazionalista.\par
In sostanza, il passaggio dalla neutralitα allÆintervento venne
deciso, al di fuori dellÆopinione pubblica e dello stesso parlamento, dal governo e dalla corte con lÆappoggio esterno dei nazionalisti. Salandra, capo del gabinetto, segu∞ dapprima una politica di patteggiamenti in tutte le direzioni, ma la logica degli
interessi spingeva lÆItalia nel campo dellÆIntesa. Le sue rivendicazioni (Trento, Trieste, il controllo dellÆAdriatico, lÆinfluenza sui Balcani) erano tutte a spese dellÆAustria che non intendeva farsene carico, nonostante le pressioni tedesche, se non
in misura molto parziale.\par
Per contro, alle potenze dellÆIntesa non costava nulla accedere a tutte le richieste italiane che andavano a scapito di una potenza nemica. Spinto da questa logica, e sotto lÆimpressione della grande battaglia della Marna c
he aveva bloccato lo slancio offensivo tedesco, il governo italiano nella persona del suo ministro degli Esteri Sonnino intensific≥ i contatti con lÆIntesa mentre erano ancora in corso trattative con lÆAustria.\par
Tali contatti sfociarono nel patto di
Londra (26 aprile 1915) in base al quale lÆItalia si impegn≥ a entrare in guerra a fianco della Gran Bretagna entro un mese dalla sua firma. Il patto, che rimase segreto fino al 1917, da una parte in nome del principio di nazionalitα sanciva il diritto a
llÆunificazione con lÆItalia dei territori popolati da Italiani e soggetti allÆAustria; dallÆaltra contraddiceva tale principio prevedendo compensazioni territoriali per lÆItalia su territori non italiani.\par
AllÆItalia venivano promessi il Trentino, i
l Tirolo cisalpino fino al Brennero (con popolazioni tedesche), lÆIstria fino al Quarnaro esclusa Fiume (con popolazioni slave), la Dalmazia, Valona e il protettorato sullÆAlbania, il Dodecaneso e, come risultato della distruzione dellÆimpero turco, il b
acino carbonifero di Adalia. Si prevedevano altres∞ non meglio precisati compensi coloniali e la Gran Bretagna si impegnava a concedere ingenti crediti.\par
Manifestazioni di piazza, diventate famose come le ôradiose giornate di maggioö, orchestrate dal
governo per fare da contraltare al neutralismo delle masse popolari, ingrossate dalla partecipazione degli studenti, dominate dalla demagogia di intellettuali come DÆAnnunzio, si susseguirono nel mese di maggio in appoggio allÆintervento giα deciso. Occ
orreva per≥ venire a capo della maggioranza parlamentare, schierata su una linea neutralista. LÆostacolo venne aggirato da Vittorio Emanuele III il quale respinse le dimissioni rassegnate strumentalmente da Salandra il 16 maggio, con lÆimplicita motivazi
one che il paese era a favore dellÆintervento. Qualche giorno dopo (20 maggio) il parlamento, operando una svolta radicale, votava a larghissima maggioranza i pieni poteri al governo in caso di guerra. A questo risultato contribuirono il rifiuto di Gioli
